Grillo e la rivoluzione che non ci sarà

Pubblicato il 24 Agosto 2014

Grillo e la rivoluzione che non ci sarà

“La rivoluzione non è un pranzo di gala” - Mao Tze Tung.

Quando si pensa alla rivoluzione francese credo che ben pochi possano dimenticare la ghigliottina e l’uso esteso e sistematico che se ne fece. Eppure da questa rivoluzione, con i suoi forconi e le sue teste tagliate, nacque una repubblica che è stata per secoli un riferimento di legalità e di tolleranza per il mondo occidentale. I valori rivoluzionari di libertà e uguaglianza sono diventati universali e fondamento di tutte le moderne democrazie dell’occidente. Per arrivarci, però, fu necessario spazzare via il vecchio regime, con la sua casta di nobili, cicisbei e parassiti che affamavano il popolo. La violenza e il sangue versato furono i necessari e ineludibili passaggi verso una nuova forma di Stato, più aperta e più equa.

Erano altri tempi e d’altro canto, lo ha dimostrato Gandhi, l’alternativa di una rivoluzione non-violenta è sempre possibile e auspicabile. Anche nel suo caso c’era un nemico ben identificato contro cui combattere, l’impero britannico, occupante e oppressore del popolo indiano. La lotta gandhiana fu lunga, durissima e costellata da numerosi insuccessi. Ma alla fine, con infinita determinazione sua e del popolo che lo sosteneva, riuscì nel suo obiettivo. L’impero venne sconfitto e l’India ottenne la sua indipendenza.

Ora qui non si tratta di capire se sia più efficace la strada della forza sanguinaria o la pazienza determinata della non-violenza. Il problema è capire se nel nostro paese una rivoluzione politica e sociale sia mai possibile. Il motivo per cui in Italia non c’è mai stata è che una rivoluzione si fa contro un nemico, sia esso un impero invasore o una ben precisa classe dominante. E si fa con una forza e una determinazione che non ammette moderazione.

Invece il nostro paese è costituito a stragrande maggioranza da moderati. Che a volte si posizionano un po’ più “a destra”, altre un poco più “a sinistra”, ma che proprio per questa stretta contiguità arrivano ad avere, con piccole variazioni poco sostanziali, le stesse idee sulle stesse cose. I grandi dogmi dell’economia europoide sui quali tutti concordano (e che non si possono nemmeno mettere in discussione, pena la scomunica) ne sono la dimostrazione. In definitiva gran parte della popolazione italiana pensa moderato, vota moderato, agisce con moderazione. Ammira la moderazione. Il massimo del dissenso consentito è partecipare a una manifestazione o sfogare la rabbia su internet. Possono toglierti diritti sociali, distruggerti con le tasse e la burocrazia, vessare con l’incompetenza e le ruberie ma per carità, non bisogna alzare la voce. Altrimenti sei un maleducato, un violento. O un fascista, che ci sta sempre bene. Siamo una Grande Repubblica Democristiana dove tutto si media e si contratta e un modo per accordarsi si trova sempre. Il recente matrimonio Renzi-Berlusconi ne è la prova.

Aggiungiamo che in Italia il nucleo fondamentale della società è la famiglia, allargata ed estesa nelle sue varie forme. Siamo una nazione familista, nell’accezione più deteriore: un paese che si organizza per bande, congreghe, partiti politici e associazioni, dove la maggior parte delle persone sono affiliate o compromesse con la ragnatela del potere. Tutti hanno un amico o un parente o un conoscente che gli permetterà di superare lo scoglio burocratico, ottenere un permesso o la licenza per poter lavorare, il posto sicuro nell’amministrazione pubblica, all’università o nel partito. Non sto dando un giudizio morale, faccio una mera constatazione. Molti sono stati costretti al compromesso per poter lavorare o per poter sopravvivere. Altri, che non avevano amicizie o bande a cui affiliarsi, sono stati costretti ad andarsene.

Per questo non ci sarà mai una rivoluzione. Dovremmo lottare contro l’intera struttura sociale e contro una attitudine psicologica atavica e radicata. Impossibile, e soprattutto inutile. Perché, al punto catastrofico in cui siamo, una rivoluzione non avrebbe nessun senso. L’unica possibilità di cambiamento è individuale: la fuga.

Questo ormai è un paese senza futuro. Ce lo dice la situazione demografica: con la natalità più bassa e l’età media tra le più alte dei paesi occidentali siamo un paese di vecchi, senza più energia e senza grandi prospettive. Ce lo conferma la situazione economica: le nostre aziende più grandi e strategiche, distrutte da anni di lottizzazioni e incompetenza, sono in svendita sul mercato internazionale: Fiat, Alitalia, Telecom, Poste e tra poco toccherà a Finmeccanica. Il declino attuale è irreversibile, siamo avviati verso un’economia alla greca in un’agonia lenta ma inesorabile. E non ci saranno pensioni a mitigare la catastrofe, il sistema previdenziale è già da ora al collasso. Chi potrà farlo, fuggirà; chi non potrà, resterà a subire la miseria.

Quindi non ha alcun senso consumare le ultime energie per tentare di cambiare questa classe politica, che tra l’altro è totalmente ininfluente rispetto alle grandi scelte economiche e sociali decise dalla burocrazia europoide e dalla finanza internazionale. Le decisioni che contano ormai sono prese altrove, ai piani alti e inconoscibili del Potere Mondiale.

Lottare per salvare la nostra indipendenza nazionale? E perché mai? Dobbiamo anzi sperare che questo processo di decomposizione avvenga al più presto, e ciò che resta di bello in questo paese venga requisito dalle nuove potenze mondiali emergenti, arabi, cinesi, russi, iraniani, culture antiche che forse sapranno tenerne in maggior conto di quanto abbiamo fatto noi. Il resto lo faranno le nuove generazioni di immigrati, più vitali, prolifiche, ambiziose e determinate al cambiamento. Il futuro dell’Italia è cinese, magrebino, balcanico, senegalese. I loro geni sostituiranno progressivamente i nostri, fino a farli definitivamente scomparire. Forse questo paese rinascerà in una forma nuova, magari migliore.

Tentare di fermare questa valanga mentre quelli che l’hanno causata ti accusano di essere volgare perché alzi la voce o usi il turpiloquio è qualcosa di comico e patetico allo stesso tempo. Se Grillo e i suoi fossero davvero lungimiranti avrebbero capito che rallentare questo processo di disfacimento, oltre a essere impossibile, è anche dannoso. Allunga la vita di questa classe dominante e il ristagno dello stato di cose. Lasciare invece che lo tsunami prossimo venturo travolga questo paese e tutta la palude dello stupidario moderato-politically-correct-radical-chic in cui agonizza, oltre che sano, è inevitabile.

“La rivoluzione non è un pranzo di gala, è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra”, diceva Mao Tze Tung, e per questo gli italiani non la faranno mai. Ci penseranno gli altri, quelli che verranno dopo, tra non molto, a prendersi tutto.

Scritto da Gian Paolo Vallati

Con tag #Politica

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